Il legame tra cibo ed emozioni è una delle connessioni più profonde e complesse del nostro essere. Quando si parla di “mangiare” non ci si riferisce solo a un atto fisiologico necessario per la sopravvivenza ma è anche una risposta che può derivare da una vasta gamma di emozioni come stress, noia, tristezza, gioia e tante altre che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni.
Spesso, ci ritroviamo a mangiare non per fame reale, ma per rispondere a un bisogno emotivo o per cercare conforto in situazioni complesse da gestire.
Questo comportamento, conosciuto come “fame emotiva” può facilmente sfuggire al nostro controllo e avere effetti negativi sul nostro fisico e sul benessere psicologico.
Un aspetto fondamentale da comprendere quando si parla di emozioni e cibo è la distinzione tra fame fisica ed emotiva:
- La fame fisica è un segnale biologico: ci avvisa quando il nostro corpo ha bisogno di energia per il suo corretto funzionamento. Si manifesta gradualmente e può essere soddisfatta con qualsiasi tipo di alimento. La fame fisica si accompagna da alcuni segnali come il brontolio dello stomaco, una sensazione di vuoto, debolezza, stanchezza.
- La fame emotiva, invece, è scatenata da stati d’animo e non da un bisogno fisico reale. Appare improvvisamente e porta con sé un desiderio forte e specifico di determinati cibi, solitamente ad alta densità calorica.
Mangiare per fame emotiva non lascia mai realmente soddisfatti e, spesso, è seguito da sensi di colpa, frustrazione e inappagamento.
Per affrontare in modo esaustivo questo argomento, è importante comprendere come il cibo sia in grado di influire sulle nostre emozioni a livello biologico e psicologico, riconoscendo le differenze tra fame fisica e fame emotiva e identificando le strategie che ci possono aiutare a gestire dinamiche legate alle emozioni.
Quando mangiamo, il nostro corpo rilascia una serie di sostanze chimiche che influenzano direttamente il nostro stato d’animo.
Uno dei neurotrasmettitori più importanti coinvolti in questo processo è la serotonina: essa gioca un ruolo fondamentale nella regolazione dell’umore, dei ritmi circadiani e dell’appetito. Circa il 90% di essa viene prodotta nell’intestino.
Quando consumiamo cibi ricchi di carboidrati, specialmente alimenti contenenti zuccheri semplici, il nostro corpo produce un picco di serotonina che ci fa sentire momentaneamente più felici e soddisfatti. Tuttavia, questo effetto è di breve durata e spesso è seguito da un rapido calo dell’umore che può indurre a cercare nuovamente quel tipo di cibo per recuperare la sensazione di benessere. Un altro neurotrasmettitore coinvolto è la dopamina, associata a una sensazione di piacere e ricompensa. Ogni volta che mangiamo un alimento ad alta densità calorica e ricco di zuccheri semplici, il nostro cervello rilascia dopamina, dandoci una percezione di benessere: questo è uno dei motivi per cui i cibi cosiddetti “comfort food” sono così attraenti nei momenti di forte coinvolgimento emotivo: attivano il sistema di ricompensa del cervello e portano a una sensazione di sollievo immediato.
Tuttavia, come per la serotonina, questo piacere è temporaneo e a lungo andare può creare un circolo vizioso di dipendenza emotiva nei confronti del cibo.
Oltre ai neurotrasmettitori, un altro elemento cruciale nel legame tra cibo ed emozioni è il microbiota intestinale, ossia l’insieme di batteri che abita il nostro intestino: questo sistema complesso non solo aiuta nella digestione ma comunica direttamente con il cervello attraverso l’asse intestino-cervello.
Studi recenti hanno dimostrato che un microbiota sano è essenziale per mantenere un buon equilibrio emotivo e mentale.
Biologa Nutrizionista
Martina Mantovani